“La conosci, Lisbona, Willy?”

“La conosci, Lisbona, Willy?”

“La conosco. E’ una giovane
scalza e leggera,
un vento improvviso e chiaro
nei capelli,
una piccola ruga…”

“Di che vai farneticando finto poeta?

“Sono le immagini di un poeta vero. Ma perché mi chiedi di Lisbona?”

“Ti ricordi Wim? Quel mezzo centravanti che segnava non più di 10 gol a stagione, ma andava tanto di moda tra gli allenatori?”

“Sì, dice che faceva movimento e creava gli spazi, ma a me sembrava di giocare col 4 – 6 -0.”

“Wim detestava la vita di coppia. Un giorno in un cinepanettone di lusso vede Colin Firth innamorarsi del sorriso senza se e senza ma di Lucia Moniz e si mette in testa di fare uguale. Raccatta la pensione, infila un paio di bermuda e se ne è andato a Lisbona, a cercare una capace di guardarlo come Lucia e disposta a stargli accanto”.

“E l’ha trovata?”

“Il mio parere è che di Lucia Muniz ne esista solo una. Però sicuramente ha trovato prezzi bassi, tassazione agevolata e tutte le comodità della grande città…”

“Lisbona… Tu lo sai com’è la vita di noi calciatori. Sei stato in mezzo mondo, ma hai visto solo gli stadi e qualche capo di stato.
A Lisbona però ci andai per l’ultima volta a fine carriera. Era il giorno dopo un quarto di finale contro il Benfica. Tu eri già a dribblare dollari e geishe nel campionato di Hong Kong e io avevo il volo di ritorno nel tardo pomeriggio. L’albergo era a due passi da uno zoo, uno dei più antichi d’Europa ed entrai…
Dalla gabbia per gli scimpanzé scappai subito. C’era un capobranco seduto immobile che mi guardava con occhi da bambino in castigo. Mi ricordava troppo le panchine di quelle stagioni finali. Io mi sentivo ancora come la tigre che consumava con zampe implacabili la terra nervosa e invece…
Ma al termine di un lungo viale periferico, dove terminava lo spazio in cui gli orsi si spulciavano tra loro guardandosi con noia, mi si aprì davanti agli occhi, senza alcun preavviso, un camposanto. C’è voluta più di un’occhiata per capire che si trattava di un cimitero per animali domestici. Cani e gatti per lo più, ma anche un quadrato minuscolo di terra per un criceto. Fotografati dall’alto o ritratti nei colori delle azulejos, lì riposano, con nomi che tradiscono il decennio di nascita, Eusebio, Snoopy, Amalia, Laika, Bibi, Patucha, Fado. Ognuno raccontava la sua Spoon River e la tristezza con cui i portoghesi fanno sempre l’amore.
Cominciai a giocare con le date. La tomba più antica, in ceramica bianca, era quella di Jack. Potrei giurare che ancora oggi, nelle notti di inverno lisbonese il suo profilo da levriero riprende vita e si confonde con la nebbia che evapora dal Tago. Va annusando il terreno in cerca di una traccia del suo padrone che lo tenne sulle gambe nel 1942, lo lanciò di corsa su una spiaggia atlantica nel 1945, lo accarezzò contropelo in un caffè del Rossio nel 1948, gli tenne la testa affilata tra le mani prima di seppellirlo qui nel 1950, per affrontare da solo il suo destino e gli interminabili giorni di vuoto per la scomparsa dell’amico fedele.
Un’assenza che gli toccò riempire come solo i lisbonesi sanno fare. Com muita saudade”.