Chissà dove ci porterà questo ritirarsi dei ghiacciai dai millenari avamposti che avevano occupato ai poli o sulle cime più alte di questo pianeta.
Accompagnata dal solito confliggere di scimitarre (bambina svedese contro filosofo francese, scienziati ortodossi contro ricercatori indipendenti, sì contro no, tutti contro tutti), la resa dei ghiacci lascia allo scoperto evidenze di continue estinzioni.
Su una parete adesso scabra si manifesta l’apocalisse personale dello scalatore mai tornato a casa, restituito intatto in un vecchio sacco a pelo, rannicchiato nell’ultimo spasimo di una impassibile notte degli anni ’50. Poco più in alto e a ovest, negli alpeggi, le vacche brucano dalle gavette della prima guerra mondiale.
In Antartide Elon Musk, che ha rinunciato alla Luna, è il primo uomo che può respirare un aerosol di bolle d’aria dell’ultima era glaciale, finalmente sprigionate dal permafrost.
Altrove, per esempio in Asia, si scongela la nuova biodiversità, anzi l’antica: l’occhio vitreo di un cucciolo di mammut guarda dall’ombra di un fosso gli escursionisti che ne tentano la pelliccia lanosa con i bastoncini telescopici. Ritornano, come installazioni viste nei musei di scienze naturali, le tigri con i denti a sciabola, appostate in un eterno agguato a un gruppo di cacciatori-raccoglitori. Ne estrarremo il DNA e risulterà compatibile con questa nostra permanente fine del mondo.
Si estinguono persino le frontiere. Il rifugio in cima al monte che fino all’anno scorso serviva cucina valdostana oggi ha superato il confine con la Svizzera. Domani forse franerà verso Friburgo. Lo smottamento non è forse la condizione del nostro presente?
E più si sale in quota più l’estinzione rivela le sue fatiche remote. Sul Cervino un prato di conchiglie bivalve, ritte come fili d’erba. Un esercito di trilobiti, sembra quello di terracotta in Cina, ci parla da matrici rocciose una lingua incomprensibile, ripugnante.
Ma sull’ultimo centimetro di un ottomila metri, di tutto questo non importa nulla al fiordaliso, da ventimila anni in ostinata attesa di fiorire.