Renè, fratello caro,
la primavera… La lucertola qui sul balcone in Harmoniestraat ha una coda che nessun bambino ha più mozzato e a ogni stagione cresce più lunga. Mi sembra sia qui da quando i figli erano piccoli. È diventata l’araldica della mia famiglia, coi suoi parenti dinosauri in gomma con cui nessuno gioca più, al di qua del vetro che non ha il coraggio di tentare. Se ne sta sdraiata sulla chaise longue di un vaso col rosmarino, si finge morta e si specchia sulle fragole redivive, i tulipani, il castello di Helmond.
Con una pulsazione alla giugulare guizza verso i suoi cunicoli appena mi avvicino, per ribrezzo di un essere coi peli, che si muove lento su due zampe e senza nemmeno il palpitare smeraldino di una squama. Viviamo sullo stesso balcone, lei ogni giorno, io per i pochi minuti dedicati alla cucina, alla differenziata, ai vestiti stesi ad asciugare. Dietro le antenne della TV, oltre le case cubiche alla Rietveld, oltre le industrie tessili e le ciminiere c’è il mare del nord.
Io lo so, lei lo sente.
Mi allontano e la lucertola ritorna sulla soglia, in cerca di tepore. Il sole ha un rigurgito di orgoglio in questi giorni e si gonfia in un calore di convalescenza. Nessuno dei due, il rettile e l’umano, muove un muscolo. Dalla porta a vetri che ci separa ci scambiamo un istinto originario. Siamo come 3 milioni di anni fa. Non avvertiamo il bisogno di adagiarci nella vita o di difenderci da essa, non percepiamo l’età che ci torce, le forze del controcanto, la nostra condizione. Siamo in una pozza dell’universo, su un balcone nel cuore di un Continente antico, con la faccia rivolta al sole di aprile. E tanto basta.