Notti magiche. Dissero.
Le avevano piazzate lì, a cavallo di una cifra roboante come un botto di mortaio. NOVANTA. Lo sculettare di Madama La Storia mostrò a tempo debito che si stava scollinando tra un “prima” sfavillante a capocchia ed un “dopo” semplicemente a capocchia. Oggi, a disporre di qualche barlume di memoria e di qualche lettura onesta, tutto appare chiaro come nell’ordinata trama di un film anni ‘50. Il 1990 fu un’arrabbiatura della Storia che, dopo un paio di bestemmie, aveva esploso il suo redde rationem: basta giocare. Via stivali e paternostri, puttane e cotillons, tangentari e leccaculo. Un po’ di lacrime e sangue non hanno mai ammazzato nessuno. Quasi nessuno.
Non è andata poi granché bene, almeno a noi italianozzi. Siamo ancora qui, a dimenarci in una diuturna balera dalla scaletta (pardon, playlist) piena di strimpellamenti socio-politici, cultural-religiosi, gastronomico-sportivi, filosofico-musicali… Alla consolle, mentecatti da parlamento, incapaci pure di togliersi il ghigno mentre fanno un selfie.
Ma che cosa ci volevamo raccontare?
Il 1990. anzi i Mondiali di Italia ’90. Un crinale tra due epoche. Un’ascesa smargiassa da un lato, una parete friabilissima dall’altro. Di qua tutti ebbri e spensierati. Di là tutti terrei e claudicanti. E nemmeno lo straccio di un’idea per ipotizzare una traiettoria.
Forse fu davvero la perfezione circolare del numero, così compiuto che non poteva concedersi di trascorrere senza che divenisse epocale. Lo scoccare del 1990 è il martedì grasso di un film felliniano, dove gli ultimi scampoli di allegrezza si appoltigliano come coriandoli su un asfalto bagnato. Anche le luci dei cinema si spengono sulle Vacanze di Natale, gli Yuppies e i Sapori di mare con cui ci eravamo scialati negli anni ’80. S’avanza dalla penombra un Portaborse cupo come la fine di una Repubblica. Esce nel 1991. Dopo solo due anni questa pellicola avrebbe potuto cedere alla boria e mutare titolo in Ve lo avevamo detto. O, con decenza parlando, in Tangentopoli. Fate voi. Ma pietosamente.
Ah, nel frattempo una Palombella Rossa si era già posata, mesta, sulle ceneri appena tiepide del Partito Comunista.
Insomma, l’età del divertimento stava per sbrindellarsi.
Italia ’90 è stata, come si dice?, una kermesse folkloristica travestita da magnifica sorte e progressiva. O il gioco furbetto e simpatico di una banda di biscazzieri che intonò il canto del cigno di quella baldoria targata anni ’80. Luca Cordero di Montezemolo, Il Poltronissimo Franco Carraro. Un delirante trionfo del volgare? Non si può parlar male delle Notti magiche. Va bene.
Pure, non ci va di travisare la realtà. Meglio guastarsi (non gustarsi, correttore delle bozze!) un tozzo di panem et circenses che far finta di nulla.
Lo volete sapere? Fu il Campionato del Mondo più micragnoso di tutti i tempi. Si segnò pochissimo, ci si difese in tantissimi. Non ci torna un conto. Si era già trasfigurato sul Tabor della Coppa dei Campioni Il Milan di Sacchi-Gullit-Van Basten-Rijkard. Un anno prima, un anno terrestre, mica un anno nettuniano. E cosa fa la maggioranza dei pisquani assisi sulle panchine di Italia ‘90? Tira dietro un uomo sulla linea del Piave, rispolvera il libero (il libero!) e intima di passarla al portiere ad ogni stormir di fronde. E il portiere a quei tempi può ancora prendere il retropassaggio con le mani.
Noia disperante, compresa la partita conclusiva. Sentite:
Io non perdo finale dal lontano ahimè 1954: posso dirmi senza sentirmi né severo né tanto meno sadico di non avere mai assistito a uno strazio paragonabile a quello offerto da Argentina-Germania.
Gioan Brera fu Carlo. Il maestro di tutti noi. Poi qualcuno riesce Gianni Mura qualcun altro I Van De Kerkhof.
Più divertente prendersela con gli hooligans. Pestati a prescindere dalle forze dell’ordine o aggrediti per principio dai tifosi italiani.
Ma forse pure questo tasto l’ho sbagliato. Giorgio Viglino scrisse “i mondiali ci hanno fatto scoprire che la nostra bella Italia è razzista in modo equanime: non c’è bisogno di essere negri, si può essere inglesi o argentini, ma anche tedeschi o magari jugoslavi”.
Era il 1990. Non ci va di aggiungere carichi da undici. Diciamo solo che oggi non puoi nemmeno più allertare le menti scrivendo razzismo. Lo si pratica e basta.
Mi andrebbe, invece, di rinnovare l’imbarazzo per gli inni fischiati prima dell’inizio delle funzioni religioso-calcistiche, ed il dileggio portato oltre la decenza nei confronti di Maradona. Di Maradona il napoletano. Ehhh…
E ci va, decisamente, di deporre ventiquattro rose bianche sul ricordo dei ventiquattro che pagarono con tutto ciò che avevano il deve-essere-assolutamente-tutto-pronto-in-tempo. I ventiquattro che la mattina andarono sui cantieri di stazioni ostiensi assurdamente costose ed inutili, o a raccogliere qualche briciola alla tavolata pantagruelica di stadi offensivamente brutti e mal concepiti, e non tornarono più a guardare la televisione insieme ai figli.
I celebratissimi stadi…
Il goffo pentolone spocchiosamente tirato su a San Siro. Stadio brutto. Brutto, brutto, brutto. Raccontano che in certi settori, se avevi da far pipì verso il decimo del primo tempo, l’andare e venire dai bagni poteva costarti il calcio d’inizio del secondo tempo.
Lo stadio delle Alpi. Una presa per il culo che non si potrà sopportare che per pochi anni, e poi sarà buttato via.
Il San Nicola di Bari. Il poeta della leggerezza nell’arte dei pesi, Renzo Piano aveva ideato una conchiglia che galleggiava in aria sopra un boschetto di pini. Per il sì e per il no, si volle strafare: anziché una conchiglia si costruì un drammatico gommone, che oggi è talmente acciaccato che non verrebbe buono nemmeno per una gita di migranti.
Il soprammobile, invero delizioso, che l’immenso Vittorio Gregotti disegnò per Marassi. Dopo la decima fila già non vedevi più il bordocampo e ad ogni acquazzone ci potevi organizzare le battaglie navali meglio che al Colosseo.
E l’inquietante copertura del San Paolo? E le distanze siderali dal campo? E le ginocchia nelle schiene della fila davanti? Vabbè…
Cosa fu, insomma, Italia ‘90?
Come facciamo a spiegarvelo qua, dopo che strati su strati di sfavillanti passaggi celebrativi lo hanno sacralizzato?
Una festa? Una festa sin troppo festosa. Di quelle troppo affollate di soggetti che l’allegria vorrebbe spumeggianti come il Dom Perignon, ma finiscono col sapere di gazzosa e birra. Ed alla fine qualcuno si fa male. Va sempre così.
A Italia ‘90 in tanti si fecero male, ma chissenefrega, c’era Il Grande Calcio! Certo, il Grande Calcio. Ma a volte per qualche brivido fatto bene andiamo a guardarci i ragazzini che giocano sui piazzali degli stadi. Ci commuove di più la loro perpetua finalina. Dove non c’è un numero 17 che andrà a sbagliare il rigore, né giovanotti col broncio, perché il mister ha tenuto in panchina la loro immensa voglia agonistica ed il loro inconcludente stato di forma per tutto il Mondiale.
Ragazzi non giocate troppo spesso accanto agli ospedali.
Meglio su un piazzale di Palermo, accanto allo stadio Renzo Barbera. A giocare la Partita dell’Italia. Buona lettura!
Scarica al link seguente il racconto: La partita dell’Italia