Sai, Renè? Quello di Paolo Conte era un viveur. Poggiava la puntina su long playing americani e si portava il nipote per le vie del jazz.
Ma ognuno di noi ha avuto uno zio (anzi lo zio!) a cui dedicare una canzone. Ad esserne capaci. Altrimenti bisognerà sbrigarsela con quello che si ha tra le mani: parole, metafore, ricordi e sistemarli come un ikebana.
Cominciamo? Oggi lo zio è il protagonista di immagini che dopo decenni ti appaiono nella luce sfarfallante di un sogno. Partiamo da quello più lontano: hai pochi anni e stringi tra le mani minuscole una cloche davanti a uno schermo installato nel bar di don Niluzzo. Lo zio è più forte del cartello VIETATO AI MINORI DI ANNI 12 e ha 200 lire come lasciapassare. I pixel di quel videogioco antidiluviano sono grandi come mattoni che si rincorrono su uno schermo. Per te ovviamente è un Gran Premio di Monza che si corre nel profumo di Caffè Barbera e brioche col tuppo. Arriva un terrificante fuoripista provocato dalle tue mani goffe. Ma niente paura, lo zio è una safety car: altre 200 lire, un altro istantaneo confliggere di automobiline quadrangolari. Un pomeriggio lunghissimo, una strage di pixel e di 200 lire.
Da più grande le gite organizzate dal dopolavoro della Provincia. C’è già la zia, si vede che stanno facendo le prove generali per una cuginetta. Ma per il momento un souvenir da Piazza Armerina. Sono ancora anni di cappottini fuori misura, più delle raccomandazioni di mamma che ti affida allo zio per andare al carnevale di Chiaramonte Gulfi. Regalo supplementare in maschera (in guardia, piccolo D’Artagnan!) dopo la torta del mio compleanno, in giorni che non si lasciano dimenticare.
Ti vuole bene lo zio. Ha dovuto persino spostare la data del matrimonio di un paio di settimane per una visita troppo ravvicinata al capezzale dei nipoti a letto con la parotite. Ma che importa? Da Parigi, al ritorno dal viaggio di nozze, arriverà lo stesso un’astronave che una levetta accende di luci per abbagliare i mostri di Vega.
Immagini che attraversano l’adolescenza. Cresime con la mano dello zio sulla spalla. Al ristorante scopri che l’orologio in regalo non è uguale a quello degli altri. Il tuo ha una spia nel Regno dello Zodiaco e conosce per segreti dispacci tutte le fasi lunari.
Con gli anni le visioni provengono da sponde più comode da attraversare. Un paio di baffi troppo bianchi, tagliati per sempre, partite di basket, le gioie dei figli (la sua, i miei), anche lui su Facebook, una foto ritrovata nell’album di nonna, una confidenza da adulti al battesimo di un altro bisnipote, una festa per la pensione. Alla fine un saluto rubato in un anno pandemico, in cima a una scala antincendio su cui si affaccia la finestra di un ultimo letto d’ospedale.
Gli zii, Renè. Dolci persone che quando vanno via ti lasciano con la sensazione di un risveglio di fronte a un albero vuoto la mattina di Natale. O forse no, al fondo di quella tristezza si trova un piccolo tesoro. Per molti giorni, a partire da un tempo lontano, ti sei scaldato al tepore di chi ti ha tenuto in braccio con amore vero.