Da qui si lascerebbe vellicare come la track ball con la quale piloto questo trabiccolo verso casa. È più bella però: è un gioiello vetroso, liquido, mai uguale, incantatorio. I suoi movimenti lenti, rotondi scivolano nel blocco di bachelite color buio che la sorregge sul piano del cosmo. Per quanti spazi tu possa aver attraversato nella tua carriera, i suoi azzurri ti rinnovano l’anima appena sbuchi dal wormhole dietro Saturno, come gli occhi di un bambino appena nato. Le sfumature ocra dei deserti puoi forse confonderle con gli inospitali tappeti pietrosi di qualsiasi altro pianeta roccioso, ma solo nei silenzi notturni del Taklamakan ho sentito i sussurri degli Immateriali. E le nubi… Oh, le nubi!… Acquattato su quest’orbita invisibile puoi spremerle da un tubetto di bianco e giocarci con le dita.
A un tratto il tubetto è rimasto lì, vuoto ed estenuato.
“Finisci il turno e completa il diario di osservazione. Poi buttati nel wormhole e chiudilo. Non sono più interessanti”.
Sono stati questi gli ordini. Sarà contenta Karashelia. Nei turni degli ultimi anni sospettava che mi stessi affezionando a questo pianeta. Ma per me è solo lavoro. Tipo il loro, aspetta… sì, un entomologo. Certo, a forza di osservarli per sedici orbite intorno alla Stella Madre in otto turni, l’abitudine ti illude intorno a qualche empatia. Ma càpita solo quelle volte che il programma di osservazione preveda una qualche interazione diretta, non la semplice acquisizione di video e dati dal trabiccolo orbitante. Questa è più semplice e sicura: specie da quando, col trascorrere degli anni e la diffusione delle videocamere sui telefonini, è stato sempre più difficile far passare per deliri collettivi i nostri voli “non identificati”. Anche per questo si è deciso di finirla qui. E sinceramente mi metteva disagio essere chiamato UFO. Questo però non lo metto nel diario di missione.
Lo rileggo, lo chiudo, mi incastro nel trasduttore quadridimensionale e chiudo pure gli occhi su un bel sogno. Fra un tempo che non ho mai avuto voglia di calcolare potrò baciare Karashelia, da ridestato, riappropriandomi dei livelli della Progressiva Realtà. E io e lei avremo voglia di far l’amore fino al fondo del Vero. È l’unica cosa che conta. Avrei ancora voluto dirglielo, prima di guardarli un’ultima volta per sempre.
“…l’attaccamento ai confini e alle differenze, nonostante i voli nello spazio e l’anarchia automatica dei virus gliene abbiano mostrato l’insignificanza, continua ad accenderne le furie. Anzi, riaffiora una certa atavica spensieratezza nella pratica del vizio bellico. Accendere focolai di guerra in centinaia di punti geografici, dicono, non è una così gran tragedia. Indubitabilmente, non posso trascriverla come guerra mondiale. Però…
Di conseguenza, tra mare e terra e cielo si stracciano corpi, oggi come ieri e l’altro ieri. Dunque nulla di eclatante da segnalare.
Annotare i possibili esempi di pigrizia a scalare i livelli esistenziali ripeterebbe, burocraticamente, ciascuno dei rapporti di sorveglianza sin qui prodotti. Tra i tanti:
– Nei quadranti mediorientali alla coesistenza si continua a preferire una quotidianità che potrebbe dilaniarsi appena obliterato un biglietto dell’autobus;
– è universalmente inalterata (o probabilmente incrementata, grazie ai mezzi di condizionamento estensivo) la disponibilità alla fascinazione del dittatore paranoide di turno, in grado di rigenerarsi tra un ciclo sanguinario e l’altro;
– nelle zone di cosiddetta civilizzazione è irriflessiva la frantumazione di confini, edilizia, organi, esistenze e fanciullezze per scommesse di gloria, mediamente trascoloranti in 2/3 decenni terrestri, o meno.
Quasi nulli, a monte, i progressi della capacità di sentire gli stessi dolori che il gesto di uno genera nel corpo e nell’anima di un altro. Un serio programma di apprendimento di questa facoltà non è mai stato seriamente implementato a livello globale, nonostante sia stato tentato ormai da svariati inviati esogalattici. Troppo esiguo il numero di soggetti arrivati a comprendere che si tratta del più breve ed efficace modo per abbandonare il furore reciproco.
Accanto a queste endemiche zavorre, ostative di ogni iniziativa riconducibile al Progetto Evolutivo Originario, si conferma quanto già segnalato nel recente Diario Z-1. Il progresso tecnologico da noi introdotto nell’ambito del Programma di Agevolazione Cosmica è stato sottomesso alla tensione Ur-cerebrale dell’accumulo. Per questi ostinati raccoglitori il talento metafisico a spostare in ogni direzione i limiti della conoscenza, pur vivace, si immiserisce nell’irriflessiva e, in fondo, monomaniacale attività di arricchimento pecuniario, interconnessa alla gestione del potere e separata da ogni riflessione sugli effetti nefasti della già analizzata coazione alla crescita illimitata.
Questa iperattività, è appena il caso di ricordare, è prossima a scatenare un sobbalzo adattativo delle architetture base del sistema climatico, naturalistico, biologico (per brevità, la “Natura”) già definito in diari pregressi “catastrofe del tubetto vuoto”.
“Hai fatto un buon lavoro”, mi dice il Catalogatore di Sezione Galattica, quando ha finito di scorrere il diario di missione. “Come sempre”.
“Ma davvero non ci interessano più?”
“Lo hai scritto nel diario: dalla loro comparsa fanno sempre le stesse cose. Non evolvono. Cambiano solo il taglio degli abiti, ma si sbudellano sempre più fantasticamente”.
“E a Lui? Bisognerà dirglielo che il programma di stimolazione/sorveglianza giù attorno al Sole è abortito?”
“Al Vecchio? Non credo che gliene importi più nulla. Ci ha provato in mille modi e con mille profeti. Si inventò persino la missione del Figlio. No, lasciamolo in pace: credo non sia nemmeno più deluso per non essere riuscito a far meglio, con i Sapiens…”